La cronica insufficienza respiratoria della scuola italiana, pre-Covid
La scuola prima del Covid 19 viveva e subiva le ricadute di decenni di tagli, che avevano colpito vari aspetti, infrastrutturali e umani. In primis il fattore umano e l’investimento su di esso, ormai diventato un ectoplasma, organici al minimo, precari, variabili, senza più alcuna attenzione alla continuità didattica, con regole per l’accesso all’insegnamento mutevoli e da teatro dell’assurdo. I problemi psicologici e di apprendimento degli studenti spesso messi sotto il tappeto, abbandoni e dispersione scolastica a cui nessuno faceva più caso. Il luogo di cui oggi si parla come di ‘fondamentale pilastro per la socialità e la costruzione di sani modelli relazionali’, spesso era tutt’altro, altrimenti non avremmo mai dovuto parlare di bullismo e di tutte le forme di violenza di genere che conosciamo.
La scuola doveva educare e formare, era e doveva essere soprattutto luogo di apprendimento, con insegnanti capaci di sviluppare e dare slancio alle capacità di ciascun studente, motivando e supportando, con competenza, ciascuno. Il numero di alunni per classe e la ‘rincorsa al programma’, i continui cambi di professori/professoresse e maestre/i hanno reso tutto più farraginoso. La cosa fantastica è che per decenni non se ne è accorto nessuno o meglio non se ne è lamentato quasi nessuno dei genitori. Non siamo stati al fianco degli insegnanti, li abbiamo per lo più guardati come privilegiati. Eppure, la realtà era ed è assai diversa, semplicemente faceva comodo non vedere tutte le difficoltà che giorno dopo giorno tanti insegnanti hanno dovuto superare da soli.
Continuiamo a buttare polvere sotto il tappeto pur di non ammettere che non si può pretendere e che in una fase di emergenza epocale occorreva avere attese più realistiche. Ancora una volta abbiamo assecondato i genitori per i quali tutto andava bene, purché si riaprisse l’involucro. Come, con che contenuti e con che regole non importava, tanto non sarebbero stati loro a provarlo sulla propria pelle, e si sa i bambini e i ragazzi voce non hanno. I più piccoli ancora meno, basta depositarli. Con sincerità: abbiamo sperato che le prospettive alla ripartenza fossero più rosee, eppure dopo un mese e mezzo i numeri dei contagi e la situazione nelle scuole ci mostrano i limiti di un esperimento. Non è solo questione di trasporti. La scuola in presenza aveva bisogno di una serie di paracadute “fuori”, attorno. Si doveva rafforzare il SSN e la medicina territoriale. Si doveva implementare un sistema efficiente e periodico di test rapidi per sondare l’andamento delle infezioni nella popolazione scolastica, a tappeto, dall’infanzia alle superiori, soprattutto per scovare gli asintomatici.
Ci volevano sistemi di tracciamento che non collassassero praticamente subito. Ci volevano personale, laboratori e reagenti sufficienti ad affrontare una seconda ondata. Oggi le regioni chiedono di poter effettuare i tamponi solo ai sintomatici, quando sappiamo bene cosa comporta non vedere gli asintomatici. Invece, salvo eccezioni e laddove c’erano le condizioni, si è riaperto con distanze in classe insufficienti, stesso numero di alunni per classe, senza mascherina, perché bisogna accontentare i genitori no mask, niente turni, nessuna scelta su orario part o full, nessuna modalità diversa che contemplasse il benessere dei bambini e dei ragazzi.
Ma i decisori hanno visto i volti delle maestre dell’infanzia e delle elementari? Sapete quanti insegnanti, per completare l’orario di 18 ore, lavorano in più di una scuola? Li avete visti i bambini fermi 8 ore al banco, con le finestre aperte praticamente sempre, con ogni temperatura e condizioni meteo? Non lo avete fatto e state lasciando ragazzi e insegnanti a loro stessi, in balia del caso. Come non si vedevano i problemi della scuola pre-Covid, oggi si ignorano stress e difficoltà che aumentano giorno dopo giorno.